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Fabrizio De André: 3 lezioni di vita che ci ha donato

Di Enrico Buongiovanni 


"Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O Anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile."


Fabrizio De André 


Ovviamente un articolo riguardante questo artista, come aforisma di apertura non poteva avere altro che una sua frase.

Da queste sue parole traspare pienamente quello che è sempre stato Faber, incontrollabile, non etichettabile, dalla dubbia morale, e con un pensiero unico nel suo genere.

La cosa che più mi conquista di questo personaggio è proprio il suo essere umano, non ha mai preteso di essere perfetto, non ha mai preteso di essere infallibile, accettando pienamente ogni suo lato.

Le sue canzoni sono pura poesia, come lui stesso dice, sono delle storie di vita, racconti riguardanti gli ultimi, con una morale di fondo e preziosi insegnamenti atti a donare sempre qualcosa a chiunque si lascia rapire dalle sue note e dalle sue parole.

Ecco dunque 3 insegnamenti che Faber ci ha donato attraverso le sue canzoni:


1-Geordie

Geordie è un'antica ballata britannica nata intorno al XVI secolo, numero 209 delle Child Ballads, ed esiste in molte varianti.

Versioni di questa ballata infatti fanno parte del repertorio tradizionale dei cantanti folk in Scozia, Inghilterra, Irlanda, Canada e Stati Uniti, ed è tuttora cantata da numerosi artisti e gruppi musicali. 

La ballata parla del processo dell'eroe eponimo, durante la quale sua moglie supplica per la sua vita.

Nella versione di De André, Geordie è un ragazzo, il quale al fine di arricchirsi ruba 6 cervi nel parco del re.

La donna che implora invece altri non è che la madre, la quale appellandosi alla giovane età del figlio chiede che l'esecuzione della pena avvenga quando sarà invecchiato, "cadrà l'inverno anche sopra il suo viso".

I sovrani rimangono commossi da tali preghiere ma "la legge non può cambiare".

Punto focale di questa canzone è proprio la legge, la quale con la sua freddezza e la sua crudeltà non trova compassione, non trova scusanti, quindi la domanda che sorge spontanea è la seguente, quando una legge si rivela ingiusta, o comunque non tiene conto dell'età e del carattere di coloro che la infrangono deve comunque essere sempre seguita?


2-La mia ora di libertà

Per capirne il senso, bisogna considerare che è il brano finale dell'album “Storia di un impiegato” del 1973.

Un concept che De André non amava affatto, perché oscuro nel linguaggio e troppo politico rispetto alla prospettiva, più intimamente esistenzialista, che lui avrebbe voluto seguire.

Vi si narra la vicenda umana di un impiegato, ritroso, individualista e ribelle, durante gli anni delle rivolte studentesche del 1968.

Una metafora impietosa del rapporto fra dimensione individuale, sistema sociale, senso di giustizia, viltà umana e istinto alla ribellione a ciò che è costituito e in cui non ci si riconosce più. 

A ciò che non è possibile correggere e di cui non ci si può liberare, perché ogni ordine richiede anche un potere che lo imponga e lo faccia rispettare, ma ogni potere si rigenera e si ripropone, sempre uguale a se stesso, dopo ogni ribellione.

E' proprio l'impiegato il protagonista della canzone, che parla in prima persona da carcerato. 

Colui che si è ribellato all'ordine socio-politico, contestando, da idealista ingenuo e sprovveduto, il concetto stesso di potere ed i suoi simboli e valori di riferimento.

Timoroso e diffidente verso la rivolta studentesca (il maggio francese) decide di adottarla in forma violenta: immagina l'annientamento dei riferimenti culturali più “sacri” (comprese le figure dei genitori) durante un “ballo mascherato”, diviene bombarolo ma fallisce, rivive l'incubo di un “nuovo” potere uguale al precedente (nel quale rivede se stesso come suo padre), finché viene tradito e abbandonato dalla sua compagna. Infine, incarcerato, deve prendere atto che la sua reazione-azione, timorosa e violenta, non ha prodotto nulla di positivo.

Perciò l'impiegato, ora detenuto, non vuole e non può identificarsi nei suoi secondini: li vede strumenti di ciò che ha determinato il suo fallimento e non vuole condividere con essi neanche l'aria.

Per lui l'ora d'aria è solo un'illusione di fugace libertà posticcia (è cominciata un'ora prima e un'ora dopo era già finita...), ma ha la conferma che il sistema che ha combattuto è ancora lì, come sempre, a condannare anche gli innocenti (non mi aspettavo un vostro errore...).

In quella straziante delusione, egli riflette su se stesso, quasi estraneato dalla realtà (...in mezzo al fuori anche fuori di là...). 

Affronta i dubbi sulla sua dignità di uomo rispetto a ciò che ha fatto (ho chiesto al meglio della mia faccia...di dignità), sulla condizione di detenuto (...vagli a spiegare che è primavera... e poi lo sanno...). 

Soffre ancora, ricordando la donna che l'ha abbandonato, divenendo (grazie a lui) figura del “circo mediatico” (si sta chiedendo...si suggerisce...da un po' di tempo era un po' cambiato, ma non nel dirmi amore mio).

Infine capisce il suo errore: la sua violenza è scaturita dalla violenza propria del sistema stesso, più forte, protratta, subdola e metodica (...una ginnastica d'obbedienza...), ma ogni sistema prevede una forma di potere che, in quanto tale, non potrà mai essere buona (...da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni). 

Lottare per un'altra “nuova forma di potere” non aveva quindi senso, perché “non ci sono poteri buoni”.

E' la disillusione definitiva, la presa di coscienza del fallimento suo e di chiunque volesse riprovarci in futuro.

La penultima strofa descrive un impiegato rassegnato ma non rinunciatario, il cui pensiero è ancora alla ricerca di una (im)possibile soluzione (imparo un sacco di cose...tranne qual è il crimine...per non passare da criminali...ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame).

La canzone chiude con una chiamata in causa dei distratti, degli indifferenti, degli apatici che si ritengono estranei ad ogni responsabilità: “per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti”.

Tale canzone rispecchia perfettamente quello che è il disagio degli incomprensi di colori che si sentono ultimi, di coloro che troppo non vengono considerati fino a quando non diventano essi stessi un problema perché stufi di rimanere inascoltati.


3-La guerra di Piero

Canzone di un' espressività unica, pura poesia musicata. 

Dovrebbe essere fatta studiare in tutte le scuole. 

Esprime a pieno il significato della guerra in relazione con i giovani. 

Questi ultimi hanno paura di ciò che affrontano e pur essendo che potrebbero essere compagni o fratelli si vedono costretti ad uccidersi vicendevolmente. 

Piero è un ragazzo che lotta per la pace, per la serenità, per non dover uccidere mai nessuno. 

Tale ultima affermazione gli costerà la vita. Il significato della morte nel mese di maggio esprime a fondo il concetto che la crudeltà della guerra colpisce anche nei momenti di maggiore felicità, quando meno te lo aspetti. 

Mi risulta adesso molto difficile il solo tentativo di provare a commentare il testo, in sé è infatti una composizione che non ha bisogno di commenti aggiuntivi. 

Lascio dunque a voi l' incanto delle parole di De Andrè già sufficienti a lasciare a bocca aperta.


4-Conclusione

Faber dunque era tutto questo, un poeta un cantante, un'anarchico, ma soprattutto un uomo, il quale compiva errori li ammetteva a sè stesso e con le sue canzoni ha sempre regalato un pensiero per gli ultimi, per i dimenticati, per gli oppressi, senza mai infiocchettare la realtà, ma semplicemente mostrandola e vivendola per quello che è, con la speranza che un giorno il mondo potesse diventare un posto migliore.