Di Enrico Buongiovanni
"La prigione è una fabbrica che trasforma gli uomini in animali. Le probabilità che uno esca peggiore di quando ci è entrato sono altissime."
Edward Bunker
L'aforisma per questo articolo appartiene ad Edward Bunker, scrittore, sceneggiatore e attore statunitense, con un passato da criminale, che lo ha reso uno dei più importanti autori crime e noir.
Ho scelto questo aforisma dato che le sue parole si prestano in maniera perfetta per descrivere questa storia di vita.
La prigione un luogo che secondo la nostra costituzione deve mirare alla rieducazione dell'individuo, rendendolo una persona migliore, rendendolo idoneo ad un reinserimento in società.
Entrando all'interno del carcere di rendi conto che la realtà è ben diversa, ma soprattutto che alle volte, i buoni propositi dettati dalla legge non si rivelano altro che essere una fiaba ben raccontata, atta però ad eludere quella che è la verità.
Dopo alcuni colloqui coi detenuti, mi rendo conto di star perdendo la cognizione dei miei interlocutori, forse sarà per l'effetto "lacrime di coccodrillo", oppure il fatto che solo adesso, alcuni di loro, si ritrovano a pensare alla vera natura delle loro azioni e forse un piccolo bagliore di rimorso per ciò che è stato, affiora nelle loro menti.
Le stesse mani che mi trovo a stringere, sono le stesse che un tempo non dispensarono misericordia, ma solamente tanto dolore, gli stessi occhi che mi trovo ad incrociare sono gli stessi che un tempo rimasero chiusi, forse con l'unico intento di non memorizzare per sempre il compimento di certe azioni.
Alcune storie qui dentro si somigliano e la maggior parte dei racconti che senti sono a metà fra la colpa e l'espiazione.
Dietro ogni storia che ascolti aleggia il fantasma di chi è stato vittima di determinate azioni, ad uno di loro chiedo se riuscirà mai a dimenticare ciò che ha fatto, a dimenticare l'atto che ha sancito una colpa perenne e senza possibilità di pareggiare i conti, la risposta arriva molto serena:
"No, non ci penso neanche a dimenticare, se lo facessi allora sminuirei ciò che ho fatto, vorrebbe dire che non è importante."
A queste parole c'è ben poco da aggiungere poiché i fantasmi delle azioni passate vengono a trovarti la notte e se durante quelle visite, ti è rimasta almeno un pò di coscienza, ecco che arriva il dolore a ricordarti per cosa devi fare ammenda.
Altri ancora invece si mostrano reticenti al dialogo, alcuni purtroppo non sembrano mostrare alcun cenno di ripensamento, rabbia o colpa per quanto avvenuto.
In questa scala immensa di sfumature e di colori umani, ecco che un uomo, forse giusto qualche anno più di me, attira la mia attenzione, non mi confida il suo nome, dice che non sono importanti, ed in carcere, a seconda del tipo di persona che sei, puoi perdere molto velocemente la tua identità.
Lui è dentro per truffa, non specifica il contesto oppure il come sia finito dentro, ma una cosa ci tiene a raccontarla ed è il perchè, venuto fuori da una famiglia disagiata, in un borgo cittadino dove la criminalità la faceva da padrona pur apparendo invisibile, ecco quale, nella mente di un ragazzo, diventa il modo migliore e più veloce per fare soldi.
Un'azione compiuta essendo ben a conoscenza del rischio, ma dalle sue parole, dettata unicamente dal bisogno e forse anche dall'impossibilità dovuta alle circostanze nel trovare un'alternativa migliore.
Questo suo breve racconto, questo suo volgere lo sguardo al passato mi ha fatto molto pensare a quanto le nostre azioni influiscano sul nostro futuro, non esiste una verità unica quando si trattano certe vicende.
C'è chi vive la condizione di detenzione come la giusta punizione per gli errori commessi, c'è invece chi la vede solamente come una gigantesca forma di ingiustizia, e poi c'è chi non pensa minimamente di aver fatto nulla di sbagliato.
Esiste infine un altro gruppo, quello dei "senza scelta", li chiamo così perché alle volte non è possibile avere una scelta riguardo la direzione da dare alla propria vita, alle volte sei costretto dagli eventi, dal momento o ancora dal tessuto sociale che ti circonda, ed è proprio in favore di quest'ultimi che mi chiedo chi sia veramente il colpevole, chi compie una determinata azione non avendo nessun altro tipo di risorsa o di possibilità, oppure chi potendo aiutare, volge lo sguardo dall'altra parte.
Entrato con la convinzione, forse un pò infantile, che il mondo fosse diviso fra buoni e cattivi, ecco che esco con un'idea nuova donatami da questo luogo, chi sbaglia deve pagare per gli errori commessi, ma allo stesso modo, non è forse compito di tutti tendere la mano al prossimo al fine di non cadere in situazioni o peggio ancora compiere azioni spiacevoli, con questo non voglio minimizzare le colpe, assolutamente...semplicemente, mi chiedo se un aiuto reciproco possa o meno evitare certe dinamiche e se il carcere sia realmente attivo nella rieducazione e finalizzato al reinserimento, allora cosa avverrebbe?
Forse è vero che il perdono è la qualità dei coraggiosi, poiché non esiste pace senza giustizia e di conseguenza non esiste giustizia senza perdono.